Tumori: l’aspirina può prevenire le metastasi

6 marzo 2025 – Era noto che i pazienti che assumono quotidianamente aspirina mostrano meno metastasi rispetto agli altri, ma finora il perché questo accadesse era rimasto un mistero: adesso il meccanismo è stato osservato in azione nei topi e ricostruito nella ricerca condotta sui topi e pubblicata sulla rivista Nature dall’Università britannica di Cambridge. Allo studio hanno partecipato anche ricercatori italiani dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara e dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, vicino Milano. I risultati gettano le basi per lo sviluppo di terapie più efficaci per prevenire la diffusione delle metastasi, che sono la causa del 90% dei decessi dovuti ai tumori. Permettono infatti di capire quello che finora si era osservato ma non compreso. Per esempio, era noto che l’aspirina riduce la produzione del trombossano A2, o TXA2, una molecola prodotta dalle piastrine per aiutare la coagulazione del sangue, Questo farmaco è spesso utilizzato per prevenire infarto o ictus dovuti alla formazione di coaguli che ostruiscono i vasi sanguigni.

Adesso i ricercatori coordinati da Rahul Roychoudhuri hanno scoperto che il TXA2 è anche la chiave per ridurre le metastasi: questo composto, infatti, causa l’attivazione di una proteina chiamata Arhgef1, che interferisce proprio con le cellule immunitarie capaci di riconoscere e di eliminare le cellule tumorali che si sono staccate dal tumore principale. Gli autori dello studio hanno infatti dimostrato che se l’aspirina viene somministrata ai topi affetti da un aggressivo tumore della pelle, il melanoma, la frequenza delle metastasi si riduce. Questo dipende appunto dal fatto che, con il TXA2 soppresso dall’aspirina, le cellule immunitarie sono più libere di dare la caccia alle cellule tumorali ‘fuggiasche’. “Quando il cancro si diffonde per la prima volta, si presenta una finestra di opportunità unica nella quale le cellule tumorali sono particolarmente vulnerabili all’attacco da parte del sistema immunitario”, dice Roychoudhuri. “Le terapie che riescono a prendere di mira questa finestra – conclude – potrebbero avere una portata enorme nel prevenire la recidiva nei pazienti a rischio”.

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